Ogni giorno i tg ci ingozzano di notizie i cui protagonisti sono sempre qualcuno che viene ammazzato brutalmente e il suo assassino “brava persona, salutava sempre”.
Tutti ci abbiamo fatto caso: nella maggior parte degli omicidi, l’assassino è una brava persona che “saluta sempre”.
Quell’unico atto compiuto verso X vicino diventa ciò che lo definisce totalmente.
Ormai ci siamo abituati, pensiamo pure di essere immuni dal giudicare la gente per quell’unica cosa che fa nei nostri confronti, ma di fatto non è così. Siamo sempre e costantemente portati a giudicare gli altri in base alla nostra esperienza con quella persona e non ci schiodiamo facilmente dal giudizio iniziale, perché se ci salutava sempre, se a noi dedicava un atto gentile ed educato, doveva per forza essere una brava persona.
Invece.
Facciamo una fatica invereconda a “studiare gli altri”, preferiamo costruire i giudizi con i soli pezzi che abbiamo a disposizione e, quel che è peggio, siamo convinti di vedere tutto il puzzle completo.
Più volte mi è capitato di sentire giudizi positivi su persone che io invece conoscevo come veri e propri figli di granputa.
E naturalmente, quando raccontavo i fatti, con prove oggettive che smentivano la santità delle persone in questione, ero io a sbagliare, a non capire, a giudicare male, ad essere prevenuta e tutti quei giudizi che i miei interlocutori lanciavano su di me per non dichiarare semplicemente una verità per loro sconcertante: ammettere di aver peccato di superficialità.
Perché è molto difficile, se non impossibile, ammettere a noi stessi di esserci sbagliati nel giudicare qualcuno e, sopratutto, ammettere di non avere una visione totale e sicura di chi ci circonda. Vogliamo e dobbiamo essere certi che quella persona sia così come l’abbiamo giudicata, altrimenti ci sentiremmo incapaci di muoverci in una società pericolosa, e questo fa paura. Chiunque contesti i nostri giudizi sbaglia, sì, sbaglia, deve sbagliare, non è possibile che io…
Ma se questa superficialità ce la possiamo permettere (mica tanto) nelle questioni private, sul lavoro NO, sul lavoro dobbiamo rimanere incozzati all’oggettività e giudicare le azioni nel terreno di gioco dove ci troveremo entrambi a sgambettare, non convincerci che un cliente sia un buon cliente SOLO perché ci sta simpatico o perché compie quell’unica azione encomiabile al di fuori del contesto lavorativo. Ad esempio, ci può offrire un passaggio o il caffè, può fare volontariato e salvare i cuccioli dalla strada, ma potrebbe mancare i pagamenti o chiederci il triplo del lavoro rispetto a quanto concordato, portandoci a sentirci quasi cattivi nei suoi confronti perché “è tanto bravo, dà da mangiare ai cuccioli”.
Detta semplicemente: se una persona è brava e buona in un contesto, non è automatico che lo sia in tutti i contesti.
I pregiudizi sono sempre da evitare, anche quelli positivi, perché il rischio è di contare troppo su uno schema che non vale per tutti. Se salva i cuccioli, potrebbe però non ritenere noi degni di chiedere 1500 euro per un sito e quindi non pagarci o farci lavorare in un inferno di richieste assurde fuori dagli accordi.
Quindi il consiglio di oggi è: fatti un’idea, ma non cadere nella trappola del pregiudizio positivo. 🙂