E’ strano, ma succede ogni volta. Quando muore qualcuno di molto caro, mi accorgo che il tempo brucia in fretta.
E’ difficile abituarsi a parlare di quel qualcuno al passato. Qualcuno che era già grande quando io ero piccola, qualcuno che sembrava inattaccabile dalla morte, qualcuno che ho integrato nel background della mia vita, non ai margini.
Poi arriva una telefonata all’ora di pranzo, rispondo continuando a masticare tranquillamente, come se quello squillo non preannunciasse nulla per cui il mio corpo debba prestare attenzione. E’ un attimo.
Mi annunciano che uno dei soggetti è sceso dal mio quadro. Per pochi secondi tento di individuarlo tra gli altri personaggi, ma lui non c’è, e quando me ne rendo conto, vedo il vuoto, il bianco della tela.
Era un lavoro che pensavo di aver finito, e invece dovrò rimetterci mano e riempirlo di ricordi.
Da questo quadro, oggi è scesa la mia ultima nonna.
Una nonna che ho chiamato sempre Signora, una nonna ben curata, dipinta in ciò che io identificavo come il ritratto della mia vera famiglia.
Una canzone recitava: “Il padre è solo un uomo, e gli uomini son tanti: scegli il migliore, seguilo e impara”. Mi sono sempre chiesta se fosse possibile scegliere una famiglia e ritenersi parte di essa senza avere dna compatibili. Alla fine mi sono convinta che si può fare, e l’ho fatto.
In verità non ho scelto quella famiglia, è stata lei a scegliere ciò che rimaneva della mia.
Quando tutto è iniziato, io non riuscivo ancora trovarmi il naso autonomamente, quindi non ricordo nulla delle origini, ma ricordo perfettamente l’armonia, la tranquillità, la grazia, la nobiltà di persone che non hanno mai avuto piani sociali, scale su cui collocare noi, nuovi poveri, e loro, persone benestanti.
Ricordo pomeriggi lontani passati ad ascoltare l’ululare di un cane dall testa intoccabile; ricordo gite al mare con la barca Carolina; ricordo cene di natale in cui il mio piatto si trasformava in un’opera di sapori con i quali ero in perenne conflitto, gli stessi a cui non sapevo dire di no; ricordo la sera in cui una mattonella incontrò la mia testa, ad averla vinta non fu la ceramica; ricordo la preoccupazione per quella botta e le mie risate; ricordo la scena di un telefilm che fece saltare in aria tutte le sedie ; ricordo la cucina, i piatti paini, piatti fondi, credenze e scaffali marroni, una finestra sul lavello, la fiammella blu della caldaia – mi perdevo nella danza della fiammella blu – l’odore di pasta, il frigo sempre pieno e la porta scorrevole nascosta dentro il muro; ricordo la cera delle scale su cui io e mio fratello giocavamo a scivolare; ricordo il gelato l’estate; ricordo la vista di Civitavecchia dalla manzarda; ricordo i pensieri penetranti quando vedevo il tetto della mia casa dall’altra parte della strada, e la voglia ingenua di non tornare là; ricordo, e questo è uno dei ricordi più preziosi, le ginocchia di un padre che non era il mio, ma andava bene così, ricordo il gioco della barchetta, le parole dolci di chi non ti sta per abbandonare, di chi ti considera un figlio, una cosa preziosa, un essere umano; ricordo i sorrisi che non mancavano mai; ricordo la presenza costante e rassicurante di una mamma che c’era sempre anche quando era lontana; ricordo una nonna che non era la mia, ma che oggi la saluto come se lo fosse stata.
C’eravamo io e la mia famiglia a metà, e c’erano loro che molte volte diventavano il mio tutto.
Oggi anche il vento sembra voler cantare la sua sofferenza. Non si lascia addolcire dal cinguettio di primavera, sbatte contro muri e alberi, non si dà pace, si ferma un secondo, forse difronte al quadro, e riparte più infuriato di prima. Lascio a lui le mie parole, lascio a lui la responsabilità di presenziare ad un funerale a cui non parteciperò, come ho fatto per mia zia.
Voglio salutare l’ultima nonna a modo mio, con queste frasi, con una rosa bianca deposta sulla tomba quando il vento di morte sarà passato, con delle lacrime che infondo non sono degna di versare, con un pensiero che punta i piedi nella mia testa e nell’animo, riempiendo il vuoto della tela con il ricordo di una Signora che mi tende la mano nell’acqua e mi dice: “Ti tengo io”.
Stima e profondo affetto per l’ultima nonna della quale, solo oggi, vengo a conoscenza del nome.
M .T.
Per me, Signora.
1 Comment
Roberto G.
Ottobre 21, 2010 at 4:16 pmNo words.
Just teardrops and emotion.